Sanremo e la paura-tra rito e rassicurazione:

http://www.lastampa.it/2015/11/17/cultura/opinioni/buongiorno/non-avrete-il-mio-odio-EI6SBX0RvhF4Gg0SGFH4bO/pagina.html

Moro e Meta hanno VINTO il festival perché la paura è l’emozione che più ci attiva. Un bisogno ancestrale di sfuggire al pericolo, di cercare un rifugio, una rassicurazione.
In questo senso “Non mi avete fatto niente”
È il canto di chi si è tratto in salvo, di chi è fuori pericolo e ha vita e memoria per raccontare ciò che ha subíto da VINCITORE.

A cup of loser

“Perdente” è il participio presente del verbo perdere.

Allora forse chi si sente bollato come tale, più che una persona che “ha perso”, è plausibile che si approcci alla vita come se di continuo perdesse qualcosa.

È un essere umano sorpreso nell’atto di perdere qualcosa a lui caro.

 Questo perché il primo evento di perdita è stato per lui un vissuto traumatico. E a partire da quel trauma ricostruisce il suo vissuto nel binomio acquisizione-perdita.

Il mio docente di psicologia del ciclo di vita, spiegava un giorno a lezione che ogni fase del ciclo di vita è costituita da questo binomio.

Emblematico è il caso del bambino, che nel senso comune si colloca nella fase di massima acquisizione.

Eppure, un bambino di pochi mesi è in grado di cogliere i fonemi di tutte le lingue del mondo; specializzandosi poi in quella madre, acquisisce una capacità sempre più elevata di comunicazione, perdendo però in termini di plasticità neurale, in quanto stimoli fonetici diversi dalla lingua parlata saranno via via sempre meno elaborati, fino a perdere totalmente  importanza.

Alla luce di questo esempio voglio lasciarvi con una considerazione:

A fronte di una grande perdita, c’è una prospettiva di grande acquisizione:

Sta a noi scegliere quale metà della tazza guardare.

L.

A cup of psi

Freud e Lacan hanno detto una cosa molto importante sul godimento, 

Essi spiegano che a godere troppo si diventa idioti.

E non riuscivo a capire quanto fosse vero, finché non mi sono resa conto che nel malessere, così come nel benessere,

spesso creiamo dei circoli di piacere;

dunque anche nel dolore, nella frustrazione più profonda e nella paura, forse ancor più che nel benessere, inseriamo un sistema di appagamento, riproduciamo uno schema che ci ha aiutato, avvantaggiato, salvato, o che in qualche modo ci è piaciuto, anche in situazioni controverse; anzi soprattutto lí, per sopportarle e in definitiva per goderne.

Ma non è forse da idioti godere del dolore?

In quest’ ottica masochista vorrei collocare un’altra riflessione di Lacan;

Il quale sosteneva che se proprio va toccato il sintomo, esso andrebbe preso dal lato del godimento.

Lacan aveva capito moltissime cose, tra cui che all’ essere umano piace la sua sofferenza. Ci si affeziona ai propri sintomi ed è per questo che si reiterano nel tempo.

È per questo che li lasciamo agire incontrastati, magari per poi lamentarcene.

Sbarazzarsi dei propri sintomi allora significa, eliminare parte del piacere. E solo un idiota lo farebbe, no?

Che alternativa abbiamo?

La mia risposta l’ho trovata nella psicoanalisi.

Nella rilettura della mia storia e nella riconquista progressiva di quel godimento che avevo, erroneamente, attribuito al dolore.

Voglio lasciarvi con questa domanda allora:
Che cosa vi piace dei vostri sintomi?

L.

Una mimosa per tutti

L’8 marzo 1908 persero la vita 129 donne in un tragico incidente in una fabbrica tessile a New York. Nel tempo il motivo commemorativo è andato perdendosi lasciando spazio alla “festa della donna”in quanto tale. Si potrebbe perdere tempo a disquisire sulla dubbia moralità dietro a questo svuotamento di significato. Oppure si potrebbe provare a riconsiderarlo in chiave moderna partendo dall’ assunto che più di cent’anni dopo ci sono donne che ancora soffrono e ancora lottano e non di meno muoiono per salvaguardare i loro diritti. Ecco che allora la commemorazione torna ad essere attualissima, nonché urgente.
E badate bene che si soffre e si muore in tanti modi diversi: quante donne sfioriscono intrappolate in una vita che non appartiene loro? Quante donne lottano per la loro emancipazione, per i loro diritti? In battaglie di genere, ma forse più spesso, ma non per questo meno degne di nota, in battaglie personali?Quanti uomini si sentono donne e non possono vivere in quanto tali? E spostandoci un po’ più in là nella nostra mappa mentale del mondo quante donne possiamo immaginare in condizioni di vita restrittive che violano la loro libertà personale? Quante muoiono? E quante ancora, qui e lì, non vivranno che l’ombra della donna che vorrebbero essere? Tutti dovremmo avere un 8 marzo nella nostra storia personale: quel giorno, quel momento della nostra vita che ci ha dato la forza di agire, o reagire, di capire che le cose andavano cambiate nel nostro modo di vivere. Celebriamolo.Ricordandoci che esistono tanti 8 marzo, quanti siamo sulla faccia della terra. Celebriamolo perché per qualcuno l’8 marzo non arriverà mai. Ricordandoci che dobbiamo lottare nel nostro affinché una donna in meno, una persona in meno, soffra nel mondo. Vivendo ogni giorno come fosse quel tragico 8 marzo. Dopo il quale tanti anni sono passati, ma in definitiva poche cose sono cambiate. Allora il mio augurio non va solo alle donne, ma anche a tutti gli uomini. Perché si ha bisogno di tante più teste che mai per migliorare la qualità della vita, delle donne, ma in generale di tutti.

Identificazione

Sai,
Quante volte ho sperato che
Tu non fossi me.
Sai,
Quante volte ho desiderato che
Le tue luci puntassero dritte su di me.
Invece no, ho prolungato di mera fantasia la tua malattia addosso a me, affinché fossi un po’ più vicina.
Ho stretto a me i tuoi drammi. Ti ho fatto mia perché incapace di sopportare il tuo silenzio, la morte della tua immobilità.
E l’ inconoscibilità, quella maledetta e troppo stretta.. Sicchè mi sono allargata, mi sono estesa fino a te. E ti ho abbracciata a lungo sai? Fino quasi a confondere il mio corpo dal tuo. E poco restava di me quanto più facevo te. E godeva quella bambina di tanto calore, ma piangeva quella donna urlando la sua diversità, la sua identità.
1+1= 2
É semplice. Siamo uno io e uno tu, e non c’è somma se non con l’ inganno che ha offuscato tanto a lungo la mia mente. Tu muori se io ti lascio, ma è forse nella morte che hai trovato la tua vita. Non posso negare quel che c’è, la tua assenza è verità, il resto pesa come non mai. Ormai non sei altro che una scusa per ciò che non riesco a fare, l’ ombra della drammatica madre che non ho mai avuto.
Io oggi voglio rinunciare a te e a questa grande bugia. Siamo tutti in fondo soli al mondo. Io forse un po’ di più, forse da di più. Ma ho deciso che mi sta bene, lo voglio, è il mio prezzo da pagare per stare al mondo. Ne vale la pena. Infondo lo pago comunque già da tempo, basta dirselo.
Io senza te valgo di più. Più di 1, più di 2. Molto, molto di più.
L.

La musica del mondo

Ieri di buon mattino mi trovavo in università, mentre attendevo che aprisse il laboratorio una persona ha catturato la mia attenzione. C’era un ragazzo seduto su un tavolo che, chitarra sotto braccio, suonava delle melodie bellissime. Mi ha letteralmente calamitata sicchè mi sono seduta al tavolo dopo, affascinata e emozionata da tanta bravura ed entusiasmo. Il bello è che lui non era lì, e per un po’ non c’ero più nemmeno io, ma non eravamo insieme; le sue note ci hanno portato ognuno al proprio posto, per quei brevi e interminabili istanti la musica ci ha concesso di andare dove troppo spesso ci neghiamo di andare. Dove vogliamo. Se sapessimo farlo più spesso, la vita sarebbe senz’altro luogo di emozioni positive e spunti interessanti. Il senso è: non importa per chi stia suonando la vita, l’ importante è la potenza su di noi che il suono produce; e ancora, il senso della giornata, e più in generale del viaggio, potrebbe essere di cercare la musica nelle cose che ci circondano.
L.

La morte della paura della morte

Ho più paura che muoiano le persone che amo che di morire io stessa.
Non so se sia giusto, ma a volte ci penso e stringo più forte il mio abbraccio e bacio una volta in più coloro che amo.
Non temo la mia fine quanto quella altrui.
Ho visto molto da vicino la morte. Per quanto sconvolgente ed inspiegabile ho visto più lucido l’ essere che è andato via che quelli che sono rimasti.
Come se chi se ne va in un ultimo e decisivo attimo di coscienza sappia esattamente cosa fare e dove andare. Mentre noi, qui, restiamo più inermi di quel corpo privo di vita.
Allora mi dico che la morte è più dei vivi che dei morti.
Siamo noi qui che dobbiamo impegnarici per ricordare, superare, liberarci dei rimpianti e viverci sopra; siamo noi quelli a cui tocca il lavoro “sporco”: se penso a quanto ho dovuto soffrire per poter trovare la pace nella morte altrui penso che sarebbe stato decisamente più semplice morire. Questo credo sia quello che spaventa davvero della morte: la sofferenza che porta con sé; ma essa è viva ed umana e non coinvolge chi oramai ha fatto il salto, è da smazzare tra noi che si vive e si ha amato quel che vita più non ha.
Io non lo so dove si va quando si muore, ma so cosa lascia chi resta, so che casino lascia, quante domande, quanto dolore.. E non nego che la curiosità è tanta..ma non potrei tornare indietro a dirmelo. Potrei sbagliarmi, allora forse avrei fatto l’errore più grande della mia vita.
La dialettica vita-morte è muta.
È una presa di coscienza di ordine trascendentale, è un atto di fede, un punto interrogativo o forse è semplicemente quello che dice di essere: la fine.
Ecco perché per quanto affascinante non accetto il suicidio: ci vuole più coraggio per vivere che per morire.
L.

Patto col diavolo sociale

A una certa età bisogna sistemarsi, andare fuori di casa, probabilmente accendere un mutuo, possibilmente trovarsi un compagno con cui dividere tutto questo e se vi sposate tanto meglio. A ‘na certa casomai fate pure figli (possibilmente 2, meglio con poca differenza d’ età l’ uno dall’ altro, così da grandi si faranno compagnia). Ricordatevi di avere sempre del tempo per voi stesse (magari, che so io, la palestra, un corso di cucito o di cucina), ricordatevi che siete emancipate, siete donne, mamme, lavoratrici, mogli, vicine di casa, zie, figlie, nipoti, sorelle, amiche, nemiche, colleghe, responsabili, forti, deboli, depresse e mestruate. Tenete bene a mente che siete tutto questo; che non vi capiti mai di scordarvelo, mi raccomando! che se va tutto bene andrete pure in pensione e diventerete pensionate, ex colleghe e con ogni probabilità anche nonne, oltre a quanto detto fino ad ora.
Che non vi salti in mente di fare diversamente, pena: la vita, quella vera.
L.

Sono un privilegio

Alla fine, dopo anni e a dispetto di ogni previsione possibile, posso dirlo: sono una privilegiata. Sono una privilegiata perché godo di tanto affetto e stima da parte di persone che stimo e per cui nutro affetto a mia volta. Sono una privilegiata perché ho tanto, spesso anche superfluo, ma posso permettermelo. Sono una privilegiata perché me ne rendo conto, perché riesco a guardare il lato buono delle cose, delle persone e persino di me stessa. Sono una privilegiata al punto tale che posso permettermi di sbagliare, e posso riconoscerlo. E posso e so scusarmi, so abbassarmi,scendere a compromessi, ma a patto che ciò non abbassi la mia autostima. Sono una privilegiata perché conosco il mio valore, e so ricordarmi di me se voglio. Sono una privilegiata perché sono estremamente sensibile ed empatica. Sono privilegiata perché lo sono anche nei confronti di me stessa. Sono una fottuta privilegiata perché so come arrivare, ma anche come restare e persino come andarmene. Sono una privilegiata perché sono una combattente, ma adoro la pace. Sono una privilegiata perché per me faccio il meglio, mi dono il massimo. Sono una privilegiata perché pretendo il mondo e il mondo ottengo. Sono una cazzo di privilegiata perché ho capito che nessuno cambia, ma soprattutto nessuno è da cambiare.
Sono una privilegiata perché sono un’ esagerata per natura, amo, sono amata e riconosco la bellezza delle cose.
Sono un privilegio per gli altri,ma ancor più per me stessa; perché io ho il privilegio di essere e non esistere.
L.

Ho il mal di mondo

Ho il mal di mondo.
Trovatemi la cura
Credete che la pace si abbia con la guerra?
Che per ottenere il bene sia necessario il male?
Credete che l’ amore abbia a che fare con l’orrore?
Uniti per la guerra, in nome della pace,
Si piange una bandiera, si lotta per la strage.
Uniti nel cordoglio, divisi per orgoglio.

Se semini una bomba non raccoglierai mai un fiore.
Ho il mal di mondo, e al mondo non c’è cura.
L.